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Agostini scrive al presidente Spacca

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agostini“Formulo la presente per sollecitare l’apertura di un confronto che porti con urgenza alla modifica dell’art.15 della Legge Regionale 4 ottobre 1999, n. 26.”


“L’art.15 al co.1 disciplina “le deroghe alla chiusura domenicale e festiva, le quali non possono superare il numero massimo di ventiquattro giornate annue, elevabili a ventotto previo parere delle organizzazioni delle imprese del commercio, dei lavoratori dipendenti e dei consumatori maggiormente rappresentative a livello provinciale, fermo restando l’obbligo di chiusura nei giorni di Capodanno, Pasqua, 25 aprile, 1° maggio e Natale” e al co.3 prevede per i Comuni “fermo restando l’obbligo di chiusura nei giorni indicati al comma 1, la possibilità di superare gli ulteriori limiti ivi previsti relativamente alle attività commerciali operanti all’interno di: a) centri storici, come delimitati dalla zona A del PRG comunale; b) zone del lungomare, che il comune individua entro il limite massimo di metri duecentocinquanta dalla battigia”.
Questo mese l’ufficio studi della CGIL ha previsto che il Pil italiano potrebbe calare del 4% nel periodo compreso tra il 2009 e il 2010, mentre i riflessi della crisi sul mercato del lavoro potrebbero portare ad un tasso di disoccupazione del 10,1% nel 2010. Quanto alla flessione dell’occupazione, pari a un -10,1% nel 2010, questa dovrebbe essere il frutto di un balzo del tasso di disoccupazione per il 2009 che dovrebbe salire al 9,3% dal 7,4% del 2008. Dal punto di vista occupazionale, i senza lavoro nel 2010 potrebbero quindi toccare i 2,6 milioni contro gli 1,5 milioni del 2007.
La previsione dell’IRES prevede invece nel 2010 un tasso di disoccupazione del 9%, con un totale di disoccupati di 2,294 milioni di unità.
Che abbia ragione la CGIL o l’IRES poco importa, resta una previsione di crescita della disoccupazione assolutamente allarmante. Il quadro non migliora poi se esaminiamo il tasso di inflazione dove l’ISTAT  attesta per febbraio un +1,6% su base annua con un +0,2% rispetto al mese di gennaio.
E’ di oggi la dichiarazione al Congresso PDL del Presidente Silvio Berlusconi per la quale “La nostra missione di governo è quella di portare l’Italia fuori da questa grave crisi …. Il superamento dell’attuale crisi dipenderà molto anche dal comportamento dei cittadini ..”. Dichiarazione coerente con quella di Napoli del 25 marzo dove il Premier affermava “Chi ha la possibilità di lavorare deve lavorare di più”.
Dunque, superare la crisi è impegno preciso di ogni governo responsabile, certamente non solo nazionale o sovranazionale, ma anche a livello di enti locali, dalla Regione al Comune.
Barack Obama ritiene che la ripresa americana dipenda dall’accesso al credito delle piccole e medie imprese e così ha annunciato nei giorni scorsi un piano da 15 miliardi di dollari per sostenere i flussi di credito.
Il Governo Berlusconi ha firmato nei giorni scorsi il protocollo d’intesa Tesoro-Abi  sui Tremonti bond dove saranno messi a disposizione delle banche 10-12 miliardi di euro, mentre il canale di credito che si apre attraverso Cdp e Sace, in favore delle imprese, è di 20-30 miliardi; tutto ciò mentre il fondo di garanzia per il credito, allargato alle piccole medie imprese, sarà operativo già dal prossimo 10 aprile con un rifinanziamento da 400 milioni a 1,6 miliardi.
Da Sindaco allora mi interrogo e mi chiedo quale senso abbia destinare risorse economiche così importanti perché aumenti la produzione delle imprese, quando poi tale produzione rischia di non trovare adeguato mercato interno in forza di una legislazione regionale ostativa del libero mercato nel settore commercio.
Inutile produrre se non segue la vendita e allora a maggiore produzione deve seguire un accrescimento nella distribuzione. Ma la falcidia della crisi colpisce quasi tutte le categorie dei piccoli esercizi commerciali.
Infatti CONFESERCENTI diffonde dati preoccupanti registrati da Unioncamere fra il 2007 e il 2008, dati per i quali in Italia il saldo negativo fra chiusure e aperture nel biennio considerato ammonta a 3.598 ristoranti in meno, 6.912 bar e 5.335 negozi di abbigliamento, ma anche 4.836 aziende venditrici al dettaglio di mobili ed elettrodomestici, 2.432 macellerie, 1.521 negozi di frutta e verdura e così via.
Insomma a inizio 2009 gli esercizi aperti al pubblico nel territorio italiano ammontano a 600.632, ma le previsioni per i prossimi anni ne prevedono una drastica riduzione fino a circa 540.000 nel 2014 con una riduzione di circa il 12%.
E la legge regionale Marche ?
Ritengo che le deroghe ulteriori e diverse limitatamente al centro storico o nelle aree di massima prossimità al mare possano creare distorsione e disparità di concorrenza nel tessuto cittadino.
Inoltre la stessa legge appare obsoleta laddove non ha ancora preso atto del nuovo contratto nazionale del commercio del luglio scorso, firmato da CONFCOMMERCIO, UIL¬TUCS (UIL) E FISASCAT (CISL), ma non dalla Filcams (Cgil), dove il lavoro domenicale è stato esteso a tutti i lavoratori, i quali però dovranno essere presenti in misura pari al 30% del totale delle domeniche lavorative e quindi con garanzia obbligatoria di turnazione da parte del datore di lavoro, che dovrà pure garantire una maggiorazione di salario pari al 30%.
Obbligo di turnazione che vuole dire garanzia di circa 2/3 delle domeniche di riposo su quante siano previste nel totale le domeniche lavorative e quindi anche nuovi posti di lavoro, laddove si voglia garantire servizio almeno eguale a quello reso nella normalità della settimana lavorativa.
Anzi, il servizio commerciale domenicale dovrà essere implementato, se è vero come è vero che la domenica si vende di più.
Esiste un dato sociale tanto elementare quanto evidente: piace sempre più fare lo shopping domenicale e nei giorni festivi, cosicchè il tempo libero viene a incidere sulle dinamiche di mercato per acquisti come per vendite.
Di questa evidenza il legislatore regionale marchigiano non può non tenere conto.
Lo hanno compreso Gran Bretagna, Spagna e Francia, dove l’apertura degli esercizi commerciali la domenica è cosa normale, come pure le Regioni di Lombardia, Sardegna, Abruzzo, Puglia e Lazio.
Anzi nel Lazio le aperture festive sono state totalmente liberalizzate e in teoria ogni Comune potrebbe decretare che i negozi siano aperti 365 giorni l’anno, come accade a Latina.
Infatti secondo una ricerca 2006 CERMES-BOCCONI, commissionata da Federdistribuzione su quesiti a risposte multiple, gli italiani a) hanno fatto acquisti domenicali – festivi il 65,4 % nei supermercati, il 56,8% nei centri commerciali, il 54,7% nei negozi in centro città, il 39,8% nei mercati ambulanti, il 37,8% nei negozi sottocasa; b) acquistano abbigliamento e calzature (69,1%), prodotti alimentari (63,5%), prodotti di elettronica ed elettrodomestici (30,3%), articoli per la casa (24,1%).
Quasi l’80% degli italiani è insoddisfatto dell’attuale situazione delle aperture domenicali e richiede interventi migliorativi in termini di comunicazione (il 66,6% degli intervistati vorrebbe avere maggiori informazioni) e minore occasionalità.
Se le aperture domenicali fossero meglio programmate e comunicate dando sicurezza di calendario al consumatore, circa il 19% degli Italiani sposterebbe il proprio giorno abituale per la spesa alimentare alla domenica e tale percentuale sale al 25,9% per i beni non alimentari.
Secondo la stessa ricerca con il raddoppio dell’attuale numero medio di aperture domenicali sul territorio nazionale si stima inoltre una crescita dell’1,96% dei consumi commercializzabili di prodotti alimentari e non alimentari, corrispondente ad uno sviluppo del Pil dello 0,29%, la creazione di 9 mila nuovi posti di lavoro nella distribuzione moderna e 13 mila potenziali posizioni nella distribuzione tradizionale.
Si tratta dunque di raddoppiare il numero delle aperture domenicali quale migliore servizio per il consumatore, cui si consente una migliore gestione del proprio tempo e un acquisto più ragionato e consapevole, ma soprattutto quale immediato volano per l’economia, creando ricchezza e incentivando consumi che altrimenti non si farebbero.
Le aperture domenicali rappresentano una grande opportunità per i cittadini, le imprese e il sistema economico nazionale e locale.
Uscire dalla recessione è il problema.
Aprire la domenica per sostenere i consumi delle famiglie, consentendo una più razionale gestione del tempo di ciascun cittadino consumatore, è una delle soluzioni strutturali possibili.
Solo nel febbraio scorso David Kohl, vice capo economista di Julius Baer, ha dichiarato che la crisi economica mondiale toccherà il livello più basso e difficile nel prossimo mese di luglio, mentre gli effetti positivi delle azioni che oggi si stanno compiendo si avvertiranno con un ritardo di nove mesi.
La Regione Marche non può attendere oltre: lavoriamo insieme per liberalizzare il mercato del lavoro e contribuire a sostenere il reddito delle famiglie”.

Dal Comune di Porto San Giorgio

Redazione Fermo Notizie
Pubblicato Mercoledì 1 aprile, 2009 
alle ore 18:10
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